sabato 19 novembre 2016

La vita di fede del cristiano di oggi e il dovere del discernimento


Conferenza di Mons. Antonio Livi tenuta a Livorno in occasione del IX Pellegrinaggio toscano a Montenero




Per gentile concessione dell'autore, pubblichiamo il testo della conferenza che Mons. Antonio Livi ha tenuto a Livorno nell'ottobre scorso, a coronamento del IX Pellegrinaggio toscano indetto dal nostro coordinamento. Accattivante nella forma e profondo nel contenuto, ne consigliamo la lettura a tutti i cattolici che - nelle nebbie dei tempi odierni - cercano schiarimenti su una corretta vita di fede. 


Inizio con qualche battuta scherzosa, ma in realtà devo dire cose molto serie, molto importanti, alle quali ho già in parte accennato stamani nell’omelia della santa Messa quando parlavo del «porro unum est necessarium, cioè di quell’unica cosa necessaria della quale parla Gesù rivolgendosi a Marta, indaffarata in tanti servizi domestici,  per difendere la “scelta” di Maria che stava ad ascoltare l’insegnamento del Signore. 
Parlare dell’unica cosa necessaria non è un qualcosa di retorico, ma è il richiamo a ciò Gesù vuole che sia il nostro punto di riferimento, la stella polare del nostro pensiero, del nostro cuore, della nostra azione, senza la quale stella polare, senza il quale punto di riferimento accade che i pensieri sono sbilanciati scoordinati, disordinati e l’azione è sterile. Questo è un discorso tutto evangelico, perché Gesù ha anche detto: «Chi non semina con me, disperde». Ho detto questo in termini molto semplici, tutti quanti l’accettate, ma forse al modo in cui si accettano le cose retoriche. Che cos’è la retorica? È l’arte di dire delle cose senza distinguere tra le cose che hanno un fondamento di verità e sono intelligenti e le cose che non hanno un fondamento di verità e possono solo coinvolgere emotivamente e obbligare all’assenso le persone che sono vittime di questa forma di comunicazione che è la propaganda. Sto forse parlando di Renzi? No, io non faccio politica, ma confesso  che mi sta cordialmente antipatico. Lui è un politico e come tutti i politici i politici fanno discorsi di mera retorica, necessariamente, perché non hanno modo di fare discorsi di scienza: non esiste infatti una scienza della politica, come non esiste una scienza dell’economia. Proprio ieri leggevo quel che un economista mio amico, Ettore Gotti Tedeschi, scriveva sul giornale “La Verità”: per un progetto economico, per un programma economico non ci sono dati scientifici, per ciò che bisognerebbe assolutamente fare. Sono tutte teorie, tutte opinioni, l’una vale l’altra e alla fine prevale quella dell’interesse di chi la propone o di chi la osteggia. Né chi la propone né chi la osteggia possono basarsi sulla verità assoluta.
Detto questo, qual è il dramma della Chiesa di oggi? La Chiesa di oggi segue una tendenza pastorale che parte dal discorso famoso, anzi famigerato di Giovanni XXIII (faccio fatica a chiamarlo san Giovanni XXIII, perché una canonizzazione che avviene fuori dalle leggi canoniche pone dei problemi), un discorso col quale apriva il Concilio vaticano II: Gaudet Mater Ecclesia. In questo discorso Giovanni XXIII diceva che la Chiesa mette da parte l’arma della condanna e usa quella della misericordia. La Chiesa sceglie di non condannare più gli errori perché si è resa conto che gli erranti già sanno di essere nell’errore e in cuor loro sono già convertiti. Una cosa dell’altro mondo. Con un colpo di spugna, con un discorsetto inaugurale - non con un atto ufficiale, l’atto ufficiale è l’indizione del Concilio, poi alla fine ci sono i documenti approvati: le Costituzioni, i Decreti e le dichiarazioni documenti approvati – viene cambiata la pastorale della Chiesa. Quel discorsetto serviva a rivelare la sua mens, che era presumibilmente politica. A chi parla Giovanni XXIII per dire che la Chiesa non condanna più? Fino a Pio XII la Chiesa condannava a più non posso. Ma chi condannava la Chiesa? Ve lo siete mai chiesti? La Chiesa condannava i cattolici. Non gli ebrei, non i musulmani, non i luterani, ma i cattolici che sbagliavano nella dottrina o nella condotta. Che cosa aveva detto la Chiesa con Pio Pio XII? Ovunque, non solo in Italia, un cattolico che sostenga con il voto o con la propaganda o con altre azioni il «comunismo ateo» è da considerarsi un «apostata dalla fede», perché il comunismo sostiene una dottrina fondata sul materialismo ateo, e pertanto un cattolico, sostenendo quella dottrina era come se dicesse: approvo una dottrina contraria a quella della Chiesa. E questo si chiama apostasia. Ce l’aveva coi comunisti, con Breznev, con Kruscev? No, ce l’aveva con i cattolici. E quando Pio XII disse che la nouvelle théologie era sbagliata, con chi ce l’aveva? Con Henri de Lubac, con Yves Congar, con tutti quei teologi che avevano cominciato a riprendere nella teologia ufficiale della Chiesa, nei seminari, nelle Università gli errori del modernismo, già condannati solennemente da san Pio X. Le condanne dottrinali di Pio XII, dunque, riguardavano direttamente i cattolici. Erano le stesse eresie condannate da san Pio X seppur con parole nuove; ma le condanne erano per i cattolici. Ora invece arriva Giovanni XXIII che “non condanna più” e il PCI con l’Unità titolava: «Un Papa buono, finalmente! Non ci condanna più! Dialoga col comunismo!”.
Lo stesso discorso vale per la scomunica latae sententiae che il Codice di diritto canonico di san Pio X commina a tutti coloro che si iscrivevano alla Massoneria. Nella riforma del Codice del 1982 è stato tolto il nome “Massoneria”. Rimane il fatto che sono irrimediabilmente scomunicati latae sententiae coloro che aderiscono alle sette segrete anticristiane. E, anche in questo caso, i capi massoni (esplicitamente non cattolici) dicevano, tutti contenti: “Noi non siamo più scomunicati!”. Ma chi può venir scomunicato? Solo un cattolico che viene dichiarato fuori dalla comunione ecclesiastica.
Il discorso del papa Giovanni XIII fu inteso in tutt’altro modo, contro le sue stesse intenzioni. Certo, le intenzioni erano assurde, per questo chiamo “famigerato” quel discorso, ma pur essendo assurde, se fossero state accolte da persone con formazione teologica queste avrebbero detto: “Se il papa non condanna più errori contrari alla buona dottrina commessi da cattolici, non è che questi cattolici possono respirare: non possono respirare per niente perché questi errori erano già stati condannati prima. Gli errori son sempre gli stessi, non ci sono errori nuovi. Gli errori della Nouvelle théologie sono quelli condannati già da san Pio X. L’evoluzionismo di Teilhard de Chardin già è stato condannato da Pio XII nella Enciclica Humani generis del 1950. Il Cardinal Kasper negli anni Sessanta scrive un libro, Jesus der Christ, pagine e pagine in tedesco e poi tradotto in tutte le lingue, in cui afferma che Gesù non è Dio, bisogna dire invece che è soltanto “Figlio di Dio”: questa è la conclusione.  Ma “figlio di Dio” può voler dire tante cose: anche gli angeli, nella Bibbia, sono chiamati figli di Dio … Questa è un’eresia. C’era bisogno che Paolo VI, poi Giovanni Paolo II e poi Benedetto XVI lo scomunicassero? No, non c’era nessun bisogno perché già era eretico, come lo erano Karl Rahner e Edward Schillebeeckx. Non c’era bisogno di fare un nuovo enunciato di condanna (tecnicamente si chiama anatematismo): «Chi dice che Gesù Cristo non è Dio, non è cattolico», questa si sapeva già dal Concilio di Nicea. Di cosa c’era bisogno? C’era bisogno di fare il contrario di quello che ha fatto Giovanni XXIII, ossia continuare ad affermare i dogmi della fede e a condannare chi si ostina a negarli pubblicamente. Infatti, la Chiesa non può confermare la propria dottrina, i propri dogmi se, nello stesso tempo, non continua a riaffermare le proprie condanne. Perché le condanne sono l’altra faccia della medesima medaglia del dogma. Questo lo dico, non perché mi piaccia, non perché sia ideologicamente “tradizionalista”,  giacché non lo sono: io sono cattolico e teologo. I tradizionalisti hanno tutti il diritto di essere tali, in tutta libertà. Io non lo sono perché, in quanto teologo, non posso essere teologo di un orientamento, di una scuola, neppure della Scuola Romana cui si è fatto cenno nella mia presentazione: come teologo devo essere fedelissimo al dogma (ed a questo proposito ho scritto un libro adesso alla terza edizione, Vera e falsa teologia). La teologia consiste in una lavoro scientifico che porta ad affermare molte cose come ipotesi purché siano tutte riconducibili al dogma. Nel fare teologia, si parte dal dogma, che è certezza assoluta, e si arriva alle ipotesi che sono certezze relative. Pertanto il teologo deve sempre stare attento, appena dice qualche cosa, a mettere in chiaro ciò che è assolutamente vero. Se poi ho tempo e modo, se è utile alle anime, io posso dire anche qualche mia opinione, o è un’opinione di una scuola o è opinione di un maestro. Ma in genere nel tempo in cui andiamo, che va di fretta, che va di fretta verso il precipizio (il precipizio della perdizione delle anime, che è un’apostasia di massa, perché si tratta di popoli interi che si scristianizzano), non c’è il tempo di andare a fare ricami e teorie: bisogna andare a ribadire «dall’alto dei tetti», come dice Gesù, il dogma, la verità, quella assoluta, l’unum necessarium. Se uno nega che Gesù è Dio, non c’è più la salvezza. Gesù è Dio che si è fatto uomo e ha sacrificato se stesso sulla Croce per meritarci la salvezza. Se Gesù non è Dio, è finito tutto. Come dice san Paolo, «Se Cristo non è risorto, vana è la nostra fede, siamo ancora nei nostri peccati».
Che cosa è successo? E’ successo che questa enorme confusione dottrinale, introdotta da Giovanni XXIII, si è insinuata nell’interpretazione del magistero del Concilio Vaticano II. Attenti alle parole precise che impiego quando dico che questa falsa dottrina si è insinuata nell’interpretazione del magistero del Concilio Vaticano II. Le parole sono precise: non voglio affermare che questa insensata azione pastorale (poi divenuta anti-pastorale) di Giovanni XXIII si sia insinuata nel magistero solenne di un Concilio ecumenico, ma  che ha permesso una falsa e abusiva interpretazione dei documenti del Concilio Vaticano II. Questo, ad opera di molti periti conciliari, il cui capofila fu Karl Rahner e ad opera di molti altri, vescovi e cardinali, di poca dottrina e di poca intelligenza ma di molta politica. Il l Concilio Vaticano II, però, in quanto atto del magistero è una cosa molto più importante delle dottrine dei teologi. Anzi sovrasta e trascende la dottrina dei teologi: il magistero non è teologia e la teologia non è il magistero. La teologia è interpretazione del dogma, e il magistero è formulazione del dogma.  A questo voglio arrivare, e debbo essere forse noioso, perché qui bisogna che utilizzi le armi che ho, che sono quelle della logica (che è filosofia) applicata alla teologia, perché la mia grande scoperta degli ultimi anni (grazie anche a Josef Ratzinger, con cui ho discusso i temi del mio libro cui ho accennato, Vera e falsa teologia) è che la teologia attuale si rende indipendente dal Magistero, si pone di fronte al Magistero, giudica il Magistero, critica il Magistero. Di conseguenza, purtroppo, ci troviamo in presenza di un magistero ecclesiastico intimidito: non nella persona divina di Gesù stesso (l’unico Maestro) ma nelle persone umane che dovrebbero rappresentarlo: queste, intimidite, paurose, pusillanimi (letteralmente da pusillus animus, animo piccolo), che pensano più al successo mediatico che al sorriso di Gesù. Giovanni XXIII, Paolo VI, talvolta anche san Giovanni Paolo II e persino Benedetto XVI hanno cominciato ad aver paura dei teologi e a copiare il loro linguaggio, mettendolo pure dentro i documenti del magistero, facendo più teologia che magistero. Che cos’è un documento che diventa teologia? Un documento immenso, che non finisce più, come l’Amoris Laetitia, in cui c’è di tutto e il suo contrario, dove ciascuno può andare a pescare la cosa che gli piace, il che è davvero una cosa pazzesca! E infatti Amoris Laetitia è davvero un documento pazzesco, perché c’è poco di magistero e molto di politica con il linguaggio fumoso della falsa teologia; e soprattutto c’è un abbandono del dovere di insegnare. “Fate come vi pare” sembra dire papa Francesco, e poi aggiunge: «La Chiesa non deve risolvere i problemi dottrinali». Ma come, la Chiesa non deve risolvere i problemi dottrinali?! E a che serve allora la Chiesa?! «Questi problemi lasciamoli ai teologi», ha anche detto papa Francesco. Ma siamo matti?! Che possono fare i teologi? Mentire? Bestemmiare? Indurre tutti all’apostasia? Se sono veri teologi dicono: «Caro Santo Padre, queste cose sono già state spiegate bene. Sono insegnamenti definitivi. Non c’è altro da dire». Non ha detto forse Gesù che chi lascia la moglie per stare con un’altra donna commette adulterio? E che la donna che è stata lasciata dal marito, se prende un altro uomo commette anche lei adulterio? In latino mechatur, in greco un atto di pornéia, un adulterio, una porcheria. Questo è stato detto da Gesù stesso, che c’è da ricamarci sopra? 
La teologia invece vuole sovrastare il magistero, questi teologi sono dei prepotenti. Loro tipico rappresentante in Italia è Enzo Bianchi.  Invitato da quasi tutti i vescovi italiani. Quando andai a fare una conferenza ad Ancona, il vescovo (che poi papa Francesco ha creato cardinale, non so per quali meriti) disse che non sarebbe venuto ad ascoltarmi perché parlavo contro Enzo Bianchi che lui invece ha fatto parlare in Duomo, davanti all’arcivescovo e  tutti i suoi preti. Potrei parlare anche del  direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, marchigiano, il quale, dopo che io avevo criticato  su un blog Enzo Bianchi, mi ha “condannato” alla pubblica vergogna  per aver tirato fuori i dogmi, il che per lui è il peggiore dei peccati.  Si trattava in effetti di un articolo eretico, che riprendeva la cristologica di Walter Kasper, pubblicato su Avvenire nella prima domenica di Quaresima del 2012; in quell’articolo Enzo Bianchi diceva continuamente che Gesù, «essendo creatura», si sottomette alla volontà del Padre come ogni altro uomo. Ma dire che Gesù è una “creatura” è dire una cosa insopportabile; anche dal punto di vista lessicale è una cosa senza senso: Lui è il Creatore, altro che una creatura! La nostra fede dice che Cristo è colui «per quem omnia facta sunt»: tutte le cose sono create da Gesù, che è Dio creatore, con la sapienza del Verbo, con l’amore dello Spirito Santo. Allora ho scritto una risposta in merito sul mio Blog, e Tarquinio, irritato, ha pubblicato sul quotidiano della Cei la lettera di una falsa suora che diceva una cosa falsa: «Sono rimasta scandalizzata da quel che ha scritto un certo Livi contro Enzo Bianchi». E Tarquinio  aggiungeva: «Ma chi è questo Livi?» (senza sapere che io scrivevo su Avvenire ancora prima che lui nascesse, così come ho scritto anche su L’Osservatore Romano, quando sia questo sia Avvenire erano giornali cattolici), «questo Livi che osa criticare Enzo Bianchi, un grande teologo  che ha scritto cose bellissime, cose sentite e profonde … e tira fuori giudizi come se si trovasse di fronte a un’eresia ariana … udite, udite! Dice che Enzo Bianchi è eretico!». Peraltro, sbagliava parlando di «eresia monofisita», quella secondo la quale Gesù è solo Dio … Per poi concludere con un «Si vergogni, Livi!». Gli intellettuali cattolici che collaboravano con Avvenire mandarono delle recensioni del mio libro ad Avvenire ma lui non solo non le pubblicò ma neppure si degnò di rispondere ai recensori. Un ostracismo in nome della difesa di Enzo Bianchi “a prescindere”... Perché tiro fuori Enzo Bianchi? Forse perché siamo in Italia? Di soggetti del genere ce ne sono dappertutto: e sono tutti dei prepotenti. Con Enzo Bianchi ho avuto una animata corrispondenza, ma lui dice sempre la stessa cosa: «La Chiesa va avanti, non ci si può fermare»… Ma va “avanti”, dove? In che cosa? «Bisogna riformare la Chiesa, non si può rimanere ai tempi di Pio XII…». In realtà Pio XII è stato un grandissimo papa, che ha fatto quella cosa straordinaria che è la proclamazione del dogma dell’Assunzione, nel 1950: già questo basterebbe per cadere in ginocchio e venerarlo come santo. Avrebbe dovuto essere beatificato e canonizzato negli anni Sessanta. Perché ciò non accadde? Perché gli Ebrei non volevano, i comunisti non volevano: Ebrei e comunisti comandano oggi la pastorale della Chiesa. Questo è il punto. La pastorale della Chiesa in mano a persone che possono essere anche papi (li ho nominati tutti, ma con rispetto e devozione, come ho fatto stamani menzionando rispettosamente Papa Francesco durante la celebrazione della Messa) ma spesso si fanno prendere la mano dalla politica, dalla diplomazia e dal complesso di inferiorità rispetto ai cattivi teologi cattolici (i teologi filo-luterani) e rispetto al pensiero protestante, ebraico, musulmano, induista e alla fine anche massonico. In fondo comandano proprio i cosiddetti “laicisti”, e la Santa Sede sembra un notaio che si limita a convalidare quel che loro hanno pensato e deciso per la Chiesa cattolica. Bene, ci vuole l’immigrazione dall’Africa? E noi proponiamo l’immigrazione dall’Africa, senza limiti. Ci vuole un pensiero unico internazionale? Anche per noi va bene un pensiero unico internazionale. Non bisogna che le religioni si facciano guerra? Bene, gli islamici ce la fanno, ma noi facciamo finta di niente. Dobbiamo condannare le crociate? E noi condanniamo le crociate. Una cosa da burla, senza nessun senso né storico né teologico. Si tratta solo di politica.
Che cosa ha prodotto questa grande crisi? Attenzione: se qualcuno dice “crisi della Chiesa” lo prendo a scapaccioni. È teologicamente sbagliato fare un’affermazione del genere perché la Chiesa non è quel che vediamo noi. In tal caso sarebbe come se io volessi giudicare la coscienza di questa signora che mi sta davanti dalla maglietta che indossa. È vero che ha una maglietta nera, è cosa oggettiva, ma è un dettaglio insignificante nel trattare dell’unum necessarium relativo a lei, e cioè  il sapere se è in grazia, se ha buone intenzioni. La Chiesa è così: è fatta di tante persone, di tanti eventi che di per sé possono essere anche evidenti, ma la Chiesa è un Mistero. La Chiesa è Gesù Cristo capo di un Corpo Mistico composto da tutte le persone, cioè da quelle persone che sono unite a Lui per il battesimo e sono in grazia con Lui o la recuperano attraverso la Confessione. Questi sono i membri della Chiesa.
Quando il Papa (che sciaguratamente dice, ogni tanto, cose che non stanno né in cielo, perché non sono verità teologiche, né in terra, perché non sono nemmeno di buon senso) dice a proposito dei divorziati risposati: “Loro sono membra vive della Chiesa”, dice una follia. Lo dice perché in quel momento lui in testa ha in mente l’idea di Chiesa come comunità, come un gruppo, come una società meramente umana; cioè, detto in termini teologici,  ha in mente una visione sociologica della Chiesa, una visione che non è sbagliata in sé ma è assolutamente parziale: talmente parziale che perde di vista l’unum necessarium che è l’unione personale di  ciascun cristiano con Cristo fino al giorno della morte e della salvezza Questo è l’unum necessarium della Chiesa.  Se uno è in stato di peccato mortale e non si vuole convertire, è inutile che il Papa gli dica: tu sei membro della Chiesa: quello finisce dritto all’inferno. E a che serve che il Papa lo consoli? E che consolazione è mai? È come se a un malato oncologico terminale il dottor gli dicesse: “Non parliamo di quanto tempo ti rimane da vivere, sono sciocchezze … parliamo della Juventus che può vincere ancora lo scudetto…”. Ecco siamo su questo piano. Faccio qualche battuta di spirito per fare quel che Blaise Pascal chiamava «le divertissement». Pascal, che fu un grande filosofo cristiano, diceva che l’uomo è così sicuro di essere destinato alla morte e talmente sicuro, come cristiano, di essere destinato alla vita eterna, che sa di mettere in gioco la vita col suo peccato, e quindi sa che si deve convertire. Ma se non vuole convertirsi, allora vive nell’angoscia, e per sfuggire all’angoscia si distrae con cose contingenti. Fa come Marta quando ha accanto Maria «che fa la parte migliore che non le sarà tolta». Non fa cose sbagliate o false, ma fa cose inutili ai fini della vita eterna.
Ho detto una cosa teologica che non è mia. Se fosse mia sarebbe soltanto un’opinione, e invece, poiché non è mia ma appartiene al dogma, è assolutamente vera. Non è vera perché la dico io, ma poiché è vera allora la affermo.  Io sono un professore di logica e la logica è fondamentale per il ragionamento teologico. Il ragionamento teologico senza la logica, che implica la metafisica, si perde in chiacchiere. Che cosa ha fatto il demonio tramite i cattivi teologi che hanno seguito i luterani, in specie quelli dell’Ottocento, cioè con Hegel e specialmente con Schelling e poi coi luterani del Novecento, specialmente con Karl Barth? Questi teologi luterani hanno distrutto nel cristianesimo le premesse razionali. Sono tutti fideisti, perché il luteranesimo nasce sulla premessa del fideismo. Lutero diceva che la ragione è la “puttana del diavolo”, letteralmente. Non invento niente, lui è sempre stato così, brutale e osceno, sia nei comportamenti sia nelle parole, anche se qualcuno ha detto che è stato un mistico. La ragione, Aristotele, san Tommaso d’Aquino, la Scolastica, la metafisica sono definite da Lutero “armi del demonio per confondere la fede”, perché la fede deve essere una fede “pura”, senza altro che non sia la fiducia in Dio e senza ragionamenti. Fideismo. Fideismo che la Chiesa continuamente condanna perché col fideismo non si va da nessuna parte. Fideismo significa credere senza motivo, e se io faccio apostolato con questa falsa fede induco alcuni a credere senza motivo, oppure induco a credere in una cosa con motivi miei, i quali però sono incomunicabili perché una fede soggettiva è incomunicabile. Come sono incomunicabili le rivelazioni private di una persona che afferma d’aver parlato con Dio. Anche Teresa d’Avila, dottore della Chiesa, non lo è per le sue visioni ma per quello che ha scritto facendo vagliare tutto quello che scriveva dai suoi Superiori del suo Ordine monastico dei Carmelitani Scalzi e dai dotti Gesuiti che venivano cercati in tutta la Spagna. Dai luterani questa cattiva teologia cattolica ha imparato la cosa peggiore: disprezzare la metafisica. Disprezzare la metafisica vuol dire due cose ben precise, non è retorica. Non è come quel bambino del catechismo che diceva: «Sì, sì, la Trinità. Dio è Padre, Figlio, Spirito Santo, eccetera …». L’et cetera, il lasciare il discorso nel vago come se fosse una enumerazione infinita, è tipico della retorica, in quanto è tipico della retorica non sapere dove i discorsi cominciano e dove vadano a finire, mentre i discorsi dogmatici si sa benissimo dove cominciano e dove finiscono. Io vi sto facendo un discorso dogmatico.  La fede cattolica e la sua esposizione dottrinale hanno bisogno della logica e della metafisica. E tutte e due queste cose compendiano delle dottrine fondamentali che sono: 1) la dottrina dei praeambula fidei, ossia di quelle certezze naturali che sono condizioni di possibilità per avere la fede. 2) l’esistenza di una legge morale naturale. Queste condizioni sono necessarie prima della teologia e prima della fede. Tant’è vero che i sapienti dell’antichità pre-cristiana avevano questi due elementi già prima della teologia e prima della fede. Perché l’esistenza di Dio era di conoscenza naturale in tutti i popoli, sia a livello religioso sia a livello filosofico. Prima della Rivelazione cristiana, tutti i filosofi erano teisti: tutti, nessuno escluso. E per quanto riguarda il diritto naturale, tutti i filosofi prima di Cristo sapevano che esiste una Legge fatta dall’Imperatore, lex hominis, lex humana, lex imperii, ma prima di questa, per legittimare ogni legge positiva, c’era una legge naturale grazie alla quale tutti gli uomini sono in grado di distinguere il bene dal male, vero dal falso, ciò che giova al bene comune da ciò che gli nuoce, ciò  che è diritto di chi comanda da ciò che è diritto di chi obbedisce. Questi due elementi sono messi da parte dalla teologia protestante e in modo particolare da Karl Barth. Sarà anche un grande teologo … venne anche a Roma durante il Vaticano II a dire tante belle cose, che viene considerato tanto amico nostro, ma intanto ha passato tutta la vita a dire che non abbiamo nessuna conoscenza naturale di Dio, abbiamo solo la fede.  La fede ci dà un Dio con il quale non c’è alcun rapporto razionale, del quale non sappiamo niente. Ma se non c’è il diritto naturale e se non ci sono i praeambula fidei non c’è fede autenticamente cristiana. Dieci anni or sono ebbi una discussione in pubblico con il vescovo Rino Fisichella (che attualmente è colui che per incarico del Papa dirige l’Anno Santo) e coi i teologi della facoltà di Teologia, perché affermavano che la teologia comincia con l’esperienza di Dio: “conosci Gesù Cristo – dicevano - e da lì conosci Dio”. Ma è assurdo. Se andiamo a vedere il Vangelo Gesù non ha mai detto: “Vi do una bella notizia: la bella notizia è che Dio esiste e Io sono Lui”. Che Dio esiste lo sapevano gli Ebrei e tutti gli altri popoli. Gesù non ci ha rivelato che Dio esiste ma che Dio è Padre, Figlio e Spirito Santo, e che il Figlio si è fatto uomo. Cosa ben diversa. La fede non riguarda l’esistenza di Dio ma la Trinità, l’Incarnazione, la Passione, Morte e Risurrezione di Nostro signore Gesù Cristo. Come si fa a dire che tutto comincia dalla fede? Se tutto comincia dalla fede con quali motivi uno crede? Con quali motivi uno sceglie il Vangelo, invece del Corano o dei Veda? O l’Odissea? Si dice che basta la Bibbia … ma questa è una idiozia teologica di Lutero! “sola Scriptura” … La Scrittura che cos’è? un libro a dare testimonianza di sé? Noi accettiamo al Scrittura perché questa proviene dalla Chiesa, a cominciare dagli Apostoli.
Metto le cose in burla perché sono così drammatiche che se non mi metto un po’ a ridere mi viene da piangere. Quanto male si fa con delle cose che sono diaboliche, perché mettono in pericolo l’unica cosa che conta, la salvezza delle anime. Oltre tutto, si tratta di cose illogiche, sciocche, immotivate, insostenibili, ingiustificabili (uso tutti aggettivi della logica aletica). Se voi pensate che i cristiani siano per forza le persone che credono alla Scrittura, allora Santo Stefano sarà pure martire ma certamente non cristiano... E tutta quella gente, quei tremila uomini che si convertirono alla predicazione di Pietro il giorno della Pentecoste non erano cristiani… Sapete che la redazione del Nuovo Testamento si è conclusa nel 110 dell’era cristiana, e allora prima che è successo? Che ne è di coloro che hanno creduto al Vangelo, predicato dagli Apostoli, senza il Nuovo Testamento? In definitiva, Nuovo Testamento che cos’è? E’ la raccolta di libri che la Chiesa assicura essere ispirati da Dio e che documentano la rivelazione di Gesù Cristo. Non è niente al di fuori o indipendentemente dalla Chiesa Madre e Maestra. Si può dire che il Nuovo Testamento è uno strumento didattico, uno strumento catechistico della Chiesa. Anche quando c’era l’analfabetismo dominante, questo  non costituiva un problema: perché la Chiesa diceva le stesse cose in tanti altri modi, anche con le immagini come i mosaici di Monreale a Palermo. Si conosceva la storia sacra, si conoscevano le cose fondamentali della fede. Ricordate come giunge alla fede cristiana il ministro della regina Candace dell’Etiopia? L’episodio è narrato da San Luca negli Atti degli Apostoli. Per poterlo battezzare, che cosa gli chiede il diacono Fiippo? Gli chiede: «Tu credi che quel passo del Libro del Profeta di Isaia che hai letto si riferisca a Gesù che è venuto? Credi che Gesù sia risorto, che è il nostro Salvatore, che ci ha rivelato che egli è Dio, e che Dio è il Padre che ci ha creati, il Figlio che è venuto da noi e lo Spirito Santo che ci santifica? Dici di sì, che lo credi?  Allora scendi giù dal carro che io ti battezzo immergendoti nell’acqua di questa fonte». E quell’uomo se ne tornò tutto contento, da solo in Etiopia, bell’e battezzato. Non c’era stato bisogno di fargli leggere qualche libro del Nuovo Testamento, è bastata la predicazione dei diacono Filippo, nominato e inviato dagli Apostoli. Nella conversione di quell’uomo c’era stato l’unum necessarium  per l’annuncio della fede, e questo è la dottrina degli Apostoli (così si chiama uno dei primi libri di dottrina della Patristica dell’età sub apostolica, la Didaché, “Dottrina dei dodici apostoli”). Invece nel Cinquecento arriva Lutero e parla di «sola Scriptura» , per di più interpretata soggettivamente. Il motivo teologico è questo: secondo la teoria eretica di Lutero (anche se  non c’è dato scritturistico, patristico e magisteriale che la possa suffragare), quando uno prende in mano la Scrittura, lo Spirito santo lo illumina e gli dice la verità… Fantasie, ma fantasie tremende, perché con la sola Scrittura viene a mancare il Magistero, ma senza Magistero non c’è fede nella Parola di Dio, che è la Rivelazione pubblica. Con la sola Scrittura non c’è autentica fede ecclesiale ma adesione a una setta (che poi diventano mille sette, perché a forza di «libero esame»,  ciascuno la vede a modo suo).
È importante capire tutte queste cose per la confusione in cui siamo perché non è colpa del Vaticano II ma dei cattivi teologi che hanno influito sui papi facendo loro compiere a queste operazioni pseudo-teologiche invece di evangelizzare e catechizzare sulla base del dogma. L’amico Enrico Maria Radaelli, che ha scritto due libri sulla questione, ha detto giustamente che la Chiesa ha rinunciato alla sua funzione essenziale, che è quella dogmatica. E ha ragione, anche se la Chiesa non è ribaltata come dice lui (il titolo di uno dei suoi libri, infatti, è La Chiesa ribaltata), perché io non sono ribaltato, lui non è ribaltato, non sono ribaltate le tante persone buone che si mantengono fedeli al dogma. Persone che, grazie a una sorta di sesto senso soprannaturale, non ascoltano i cattivi Pastori e i falsi profeti e danno ascolto solo ai veri testimoni della fede. Perché, ad esempio, ha avuto tanto successo spirituale padre Pio? Penso a mia madre e alle fatiche inenarrabili nel dopoguerra per andarlo a visitare. E lui che non predicava se non la Santa Croce, la Messa, la confessione, il dovere di ciascun  cristiano nel proprio stato di vita:  le cose di sempre, quelle tradizionali cioè l’unum necessarium.
Stando così le cose: qual è il succo di questo discorso? Noi dobbiamo vedere con lucidità - anche con l’aiuto di chi dice cose teologicamente vere e certe come quelle che vi sto dicendo - che nella Chiesa c’è una grande crisi pastorale, ossia una condotta non sempre illuminata dei Pastori, e anche una influenza tremenda dei mass media che, anche quando sono etichettati come cattolici, sono in larga misura di proprietà finanziaria e ideologica della Massoneria: ed è così in tutto il mondo. Direte: ma sul Sole 24 ore scrive domenicalmente un cardinale, Gianfranco Ravasi. Sì, un cardinale massone, lo ha detto lui stesso scrivendo un mese fa su La Stampa chiedendo perdono ai suoi “fratelli massoni” perché a volte nella Chiesa sono trattati male, ma adesso ci penserà lui a fare un bel dialogo ad abbattere le barriere … Ovviamente il giornale massonico degli Agnelli esultava per questa “apertura”. Apertura, apertura, apertura … prima ai comunisti, poi agli islamici, poi agli induisti, quindi ai gay, ora a Lutero per il 2017… Tutte aperture che sono, se uno non è sciocco capisce che sono operazioni politiche create dalla paura di essere spazzati fuori. Parlo molto coi cardinali di Curia che la pensano come me ma poi non riescono a  fiatare. Ma di che hanno paura? Mi dicono: «Ha visto che è successo al cardinale Burke?». Sì, lo so, ma voi siete ormai emeriti, come lo sono io, quel che hanno potuto fare contro di me ormai lo hanno fatto. Di che avere paura? Io rispetto l’autorità, ma se una pastorale è sbagliata ho tutto il dovere (oltre che il diritto) di dire che si tratta di una pastorale sbagliata. Una dottrina sbagliata, invece, è impossibile. La Chiesa ha una sola cosa garantita da Gesù Cristo: l’infallibilità nell’insegnare formalmente la verità rivelata. Con un carisma particolare per cui è impossibile che il papa da solo o assieme al collegio episcopale e cardinalizio pronunci una affermazione apodittica che sia eretica: o perché Dio impedisce di parlare al Papa o perché al momento di firmare un documento gli prende un colpo e muore, oppure si converte. Oppure può succedere quello che sta succedendo oggi, e cioè che riguardo al dogma della fede il Papa non si decida mai a dire una parola chiara. Cosa penosissima e terribile, lo dico col pianto nell’anima: il Papa ha deciso, da tre anni in qua, di non dire mai una parola chiara riguardo al dogma della fede. Papa Francesco insinua dei dubbi, quello che sarebbe più grave lo fa dire agli altri, oppure lo fa capire ma non lo dice. Il suo stile magisteriale è fato di frasi a effetto, contradittorie e ambigue,  che appartengono alla maniera tradizionale con cui Il Magistero espone ai fedeli la dottrina. Perché il dogma è fatto di poche parole chiare, che formano asserzioni inconfutabili, mentre invece come ho scritto più volte a proposito dell’esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia,  il Papa ha voluto essere volutamente ambiguo. Perché? Perché da una parte vorrebbe dire cose sostanzialmente eretiche, e dall’altra sa che non le può dire. Per esempio, tutti hanno letto e riletto il discorso su «Se un gay è di buona volontà e cerca Dio, chi sono io per giudicarlo?». Una frase che può significare tutto ma in realtà non significa niente: che significa “giudicare”? Gesù ci ha proibito di giudicare. Cioè non possiamo giudicare la coscienza degli uomini, perché non la possiamo conoscere. Però allo stesso tempo Cristo dà alla Chiesa il potere di giudicare sui fatti esteriori, per dire se sono parole o azioni conformi alla morale o alla dottrina della Chiesa. Queste vanno effettivamente giudicate. Il Catechismo della Chiesa cattolica, prima che il Papa dicesse tutte queste cose vaghe, ha detto esattamente tutto ciò che andava detto sulla questione degli omosessuali. Non si sa se l’omosessualità sia volontaria e involontaria, e poi bisogna distinguere tra una tendenza e certi atti esteriori (visto che, agli occhi di Dio,  una cosa è la tendenza un’altra i comportamenti) … ma chi compie volontariamente atti omosessuali è reo di un peccato che grida vendetta al cospetto di Dio. Basta, punto. Se aggiungi altre cose, sei già nell’ambiguità, e hai rovinato la pastorale. «Se un gay ha buona volontà e cerca Dio», la Chiesa che deve fare? Aiutiamolo a convertirsi, a lottare contro le tentazioni come chiunque abbia insane passioni: cercando Dio, facendosi aiutare dalla direzione spirituale e dai sacramenti a correggersi, a frenarsi, a inibire al propria libidine. Questa è la cosa normale in un contesto  cristiano di verità dogmatica, morale e ascetica.
La conclusione è: che cosa deve fare un cattolico che sia laico o sacerdote in questa situazione della Chiesa che vive una fase di disorientamento nella dottrina e nella pastorale? Noi non sappiamo quante siano le persone in grazia di Dio;  non sappiamo chi siano quelle che si salveranno o si perderanno; nemmeno possiamo giudicare le intenzioni dei Pastori che apparentemente fanno cose insensate, noi non dobbiamo giudicare nessuno. Vediamo i fatti esteriori: se vediamo che diminuisce la presenza alla Santa Messa dei giorni festivi e la frequenza delle Confessioni, se vediamo interi Paesi come il Belgio e  l’Olanda dove la confessione non esiste più (un fatto pastorale gravissimo e obiettivo), se abbiamo dati allarmanti sulle vocazioni sacerdotali e religiose, che cosa dobbiamo concludere?  Prendiamo atto di questi dati esteriori e possiamo fare qualche prudente valutazione di sociologia ecclesiastica: ripeto però che si tratta soltanto di sociologia ecclesiastica, e tutte le valutazioni sociologiche sono molto relative rispetto a chi fa l’indagine, in quale tempo, in quale luogo e senza pensare a tutte le evoluzioni che ci sono continuamente, tenendo presente che quello che si vede nei nostri Paesi occidentali non è quello che c’è nella Cina comunista. Molti di quelli che fanno analisi sulla Chiesa ignorano quel che accade in Cina, dove ci sono milioni e milioni di eroi e di martiri tra vescovi, preti e laici. E un regime terribile, quello comunista cinese, anche se nessuno lo etichetta mai così (ci si guarda bene peraltro dal segnalare che lì vi è la maggiore quantità di esecuzioni capitali). Non si alza la voce per denunciare la persecuzione dei cristiani in Cina e nei Paesi islamici  perché da quelle parti ci sono miliardi di persone, potenze politiche e mercati in ascesa. Ora, queste sono valutazioni politiche, diplomatiche e commerciali: ma può la Chiesa usare soltanto questi parametri? La Chiesa è forse un’entità politico-diplomatica-commerciale? La Chiesa di Cristo ha un unico dovere, anche di fronte ai persecutori, quello di annunciare il vangelo. Come diceva san Paolo:«Guai a me se non evangelizzo!».   Invece abbiamo visto dei Papi che evidentemente hanno pensato: «Guai a me se non faccio accordi con la sinagoga e con la moschea». Mi riferisco, per esempio, a san Giovanni Paolo II, che pure è un gigante della fede  ed è stato pure mio amico e ha scritto una cosa stupenda e meravigliosa come l’enciclica Fides et ratio, del 1998, enciclica che ribadisce la necessità della metafisica per la fede cristiana e la teologia cattolica. Un’opera straordinaria, ma che cosa è successo poi con questa enciclica? È stata messa da parte dalla Santa Sede stessa. Nell’Università del Papa, la Lateranense mi dissero: «Smetta di parlare di questa enciclica perché è superata». Che vuol dire “superata”? «Vuol dire che non segue le correnti attuali della teologia (ermeneutica, storicismo, dialettica) ed è tornata alla teologia pre-conciliare; è stata una debolezza del Papa che ha dato retta ad alcuni …». Eppure è un enciclica che stabilisce perentoriamente le norme per lo studio e l’insegnamento della teologia nella Chiesa: si vede che le encicliche che piacciono fanno testo, quello che non piacciono no . Mah …
Che bisogna fare, allora? Laici o sacerdoti hanno la necessità di badare all’unum necessarium. Io la fede devo preservarla, custodirla, svilupparla. Pertanto cerco dei confessori che siano dotti e pii, come faceva santa Teresa. E me li scelgo io. I laici sappiano che non hanno l’obbligo di andare da nessuna parte, non c’è alcun obbligo di andare in una parrocchia particolare. Non c’è obbligo di legarsi a nessuno. Nemmeno ai Papi. Perché ho parlato di Giovanni Paolo II? Perché Giovanni Paolo II che ha fatto quella bellissima enciclica allo stesso tempo ha fatto delle cose, trascinato da questa corrente della politica e della diplomazia ecclesiastica, che sono disastrose come la famosa riunione inter-religiosa di Assisi. Dove sono state fatte della cose, certo non erano nella sua volontà, che fecero orrore sul Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, cardinal Ratzinger, come mettere una statua di Budda sull’altare. O quando è andata nella Sinagoga di Roma o nella  Moschea in Marocco. Eppure si tratta di un santo. Ma come dicevo stamani nell’omelia, ricordando le parole del mio babbo: “Sbaglia anche il prete all’altare” e può sbagliare anche il Papa nelle sue iniziative pastorali e disciplinari e nei suoi discorsi improvvisati e di circostanza. L’importante è che noi non giudichiamo né la persona né le intenzioni. Ma se una cosa, alla luce delle verità di fede, è sbagliata che cosa dobbiamo fare: gridare? Fare propaganda contro il Papa? Qualcuno la fa, può avere delle ragioni e può essere legittimo io preferisco invece, come diceva un santo del Novecento, San Josemaría Escrivá: «Affogare il male nell’abbondanza del bene”, dare buona dottrina, indirizzare alle fonti autentiche della dottrina. Io ripeto a tutti: non vi smarrite, non cedete al turbamento, non perdete il retto criterio della fede, sappiate che realmente non è cambiato niente, nessuno ha eliminato la Sacra Scrittura, nessuno ha abrogato il Catechismo della Chiesa Cattolica, nessuno ha detto che non è più in vigore il Codice di Diritto Canonico. In questi tre  testi libri c’è tutto quan to basta per sapere qual è la fede cui dobbiamo essere fedeli e le leggi della Chiesa cui dobbiamo obbedire. Non c’è bisogno di altro. Non c’è bisogno di sapere al mattino, quando leggiamo il giornale o accendiamo la televisione, che cosa ha detto oggi il Papa a santa Marta, che cosa ha detto per telefono a Scalfari o alla Bonino. Ricordo che c’era un giornaletto di Comunione Liberazione che si chiamava “La traccia” e iniziò le pubblicazioni quando fu eletto Giovanni Paolo II, che cominciò ad attirare l’interesse e l’affetto di tutto il mondo cattolico, a partire dal saluto ai fedeli in piazza San Pietro: «Se mi sbaglio mi corrigerete!». Allora tutti a seguire i discorsi di Giovanni Paolo II, tutti a  leggere ogni discorso pubblicato su “La traccia”, ma dopo un anno di continuo magistero quotidiano (dei venticinque anni di pontificato) anch’io pensai che non c’era il tempo materiale di leggere tutto quello che andava dicendolo, perché ogni giorno sfornava dieci discorsi. Lo lasciai da parte concentrandomi solo su ciò che era importante. I Papi adesso hanno questa mania di parlare continuamente e di parlare anche informalmente, di lasciare anche interviste. Quando mai Pio XII rilasciò interviste a un giornalista e per di più massone? Eppure stiamo parlando di un papa che fu un eroe: sapete che aveva preparato una lettera di dimissioni in caso di rapimento da parte di Hitler. Se fosse stato deportato in Germania, disse, avrebbero deportato il cardinale Pacelli ma non il Papa. Era un uomo preparato al martirio pur di non cedere a Hitler. E nonostante tutto venne accusato (da ebrei e comunisti) di essere addirittura “il Papa di Hitler”. Dobbiamo affogare il male nell’abbondanza di bene. Fare il nostro apostolato in famiglia e dappertutto, indirizzando verso le vere fonti della fede. E per ultimo, un criterio che è fondamentale, che è filosofico, teologico ma anche molto pratico: bisogna saper distinguere le opinioni – che magari sono anche buone, ma che sono semplici opinioni che non possono essere garantite perché non sono oggetto di fede umana e neanche divina - dalle verità rivelate che sono da credere con fede divine ed ecclesiastica. Bisogna saper individuare sempre quello che può essere garantito come verità rivelata da Dio e confermata dalla Chiesa nei dogmi. Queste verità sono poche ma assolutamente necessarie per la salvezza della nostra anima e per la predicazione del Vangelo; il resto, le opinioni, possono essere utili, magari anche necessarie, ma relativamente necessarie, come lo sono, ad esempio, le varie spiritualità che lo Spirito Santo ha suscito nella vita della Chiesa: la spiritualità domenicana, francescana, salesiana, gesuitica … tutte buone, ma tutte solo relativamente buone essendo solo una parte del tutto che è la spiritualità cristiana (l’imitazione di Cristo) ed essendo desinate solo a una parte del Corpo Mistico di  Cristo che è la Chiesa (cioè a chi ha quella speciale vocazione).

 Livorno, 1 ottobre 2016

4 commenti:

  1. Gracias, monseñor Antonio Livi. Gracias de corazón por su palabras llenas de claridad y verdad. Y gracias al blog Messa in Latino que me ha facilitado este enlace. GRAZIE DI CUORE!

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